Mgła – “With Hearts Toward None” (2012)

Artist: Mgła
Title: With Hearts Toward None
Label: Northern Heritage Records
Year: 2012
Genre: Black Metal
Country: Polonia

Tracklist:
1. “With Hearts Toward None I”
2. “With Hearts Toward None II”
3. “With Hearts Toward None III”
4. “With Hearts Toward None IV”
5. “With Hearts Toward None V”
6. “With Hearts Toward None VI”
7. “With Hearts Toward None VII”

Esiste una sottile, quasi invisibile eppure pienamente riconoscibile differenza fra i tratti umani tipici del dannato, quelli dell’esasperato dalla contingenza dell’essere, e quelli dell’individuo invece fuori di sé o del completo folle. In ognuno dei tre casi, la vita è tuttavia un ordimento ai diretti danni dell’uomo inseritovi impotente; un dramma allargato e riletto in sette atti capace di riscrivere ogni tentativo di teologica ambizione, di rovesciare con la forza della volontà il trono del conforto e della indebita, non richiesta creazione. Questa tempesta di insensatezza in un certo senso accomuna: arriva presto o tardi per tutti coloro che abbiano avuto il contorto dispiacere di trascorrere un po’ di tempo con loro stessi, ed è quella che molti, rimasti comunque virtualmente ciechi e sordi, non hanno visto approssimarsi rombante; è quella che pochi hanno rifiutato di vedere. Quella che ancor meno hanno scelto di accogliere a braccia aperte.

Il logo della band

È una bufera d’acqua fetida e pece mescolate in parti ineguali che piomba pesante, annullante come redenzione, più che sogno un incubo esattamente come la litania di abbandono cantata dai Mgła nel loro secondo capitolo discografico su full-length alla ricerca di un momento in cui, dentro a tutto questo indistinto nero, poter bruciare di pura luce. Bruciare, vale inevitabilmente a dire per un’autentica fiamma (e per sua semantica stessa) bruciarsi, estinguersi, incenerire il circostante e perire nondimeno. Ma se avessimo del resto vissuto solo e soltanto per un solo, un misero eppure glorioso istante di irripetibile abbandono e sensazione d’impenetrabile libertà, d’indescrivibile felicità al limite della più pura, inadulterata e maniacale follia? Quell’istante ossia che rende tutto il resto un grigiore vacuo, prima che sopraggiunga la morte distruttrice dei mondi di fronte a cui possiamo nuovamente (o per la prima volta) essere come ci pare, di fronte a cui nessuno può fingere un personaggio né più interpretare con infedeltà la propria parte di un vecchio e stantio copione distribuito dall’alto. La morte di fronte a cui l’individuo torna ad essere tale – non più il sono come tu mi vuoi, l’anti-individuo cartesiano di cui si compiace il Dio che adora gli olocausti, che adora lo sporco umano, le pile di morti e le schiere da sterminare, ma la sua negazione di gran classe.
Lo stesso identico giorno in cui dall’aliena Silesia altri outsider quali i colleghi Furia (si pensi alle coeve “Kosi Ta Smierć” e “Pódź W Dół”, se in dubbio sul perché dell’attributo) rilasciano “Marzannie Królowej Polski” dedicandolo proprio alla regina della nazione incarnatasi nella dea dell’inverno e del decadimento Morana Marzanna, i due polacchi di Cracovia ci sussurrano tutto questo e molto altro viperini all’orecchio. Versano parole di grintoso, perseverante sconforto travasato goccia a goccia, dopo goccia, dopo goccia. Lentamente come fosse melma, così che possa far riflettere quale un tarlo che per dieci anni rosicchia fedele il suo legno cerebrale. “Groza” aveva in tal senso iniziato un lavoro su più larga scala, nel 2008, e “With Hearts Toward None” lo porta quindi avanti limandolo, in primis musicalmente e poi liricamente -ma come il risultato fosse per la prima volta una cosa sola nata all’unisono-, ampliandolo ed ingrandendolo di detriti utilizzati al pari di armi, con tutto il suo indescrivibile peso verso una discesa ancora più lenta e grandiosa in cui si solidifica una volta e per tutte quel che nella successiva decade di ascesa e tumulto la coppia di musicisti avrebbe significato stilisticamente nella sua immediata e concreta inafferrabilità.

La band

I semi della grandezza, i germi di un prossimo impero espressivo sono liberati qui e serpeggiano come l’eccezionale riff atonale (con tutto ormai divenuto inconfondibile come una matrice anti-melodica) del titolo primo di sette, scultura di una perdita avvenuta tra carne e spirito: i Mgła sono già in grado di mozzare il fiato con la plumbea, inedita, saturata tensione addolorata di “With Hearts Toward None VI” nel suo epicentro fatto di cieli neri, di un senso d’attesa perenne senza rilascio di tensione tutta accumulata per il gran finale, la “VII” dove il tenore di quell’interiore spasmo teso al limite della convulsione, della terribile stasi conradiana, riesce addirittura ad aumentare fino al culmine esploso in quella rullata da antologia che apre le danze per un primo capolavoro di grandezza nel catalogo della band. A distanza di dieci anni dalla pubblicazione dell’album, sul suo finire e in quello scambio percussionistico ride-snare che su quel tono di chitarra è quasi un autografo, possiamo infatti tranquillamente notare di essere all’ascolto del progenitore diretto della “Age Of Excuse II” – ma non solo. Il malessere vomitato dal marasma di chitarre dai toni ribassati nel secondo pezzo del secondo album, vale a dire quel maremoto di grigiore figlio legittimo dell’ipnotismo di “Groza”, è portato qui ad un nuovo livello senza precedenti qualitativi che è ponte in sé per il terzo brano del successore in studio: l’“Exercises In Futility” che sarà con una velocità strepitosa -e anche un po’ spaventosa- acclamato come qualcosa di completamente diverso da molti. Eppure, benché sicuro sebbene temporaneo apice, nel 2015, di un processo di fine miglioramento creativo, già nel 2012 che dà i natali al suo predecessore “With Hearts Toward None” non più riposa bensì esplode come frammenti risucchiati dal vuoto a perdita d’occhio la pressoché totalità degli elementi esplorati tre anni dopo anche nel suo fortunatissimo figlio. Il salto tra i due sarà per moltissimi versi grande, non c’è discussione al riguardo che tenga, ma ancora più grande è forse la sorpresa che colma i quattro anni di lavoro separanti debutto e sophomore in questione: si pensi a tutto l’impagabile ed implacabile groove di cui sono in particolare intrise la quarta e la sesta nuova canzone del duo, qui ad un effettivo primo e squisito rendimento della sua incredibile sinergia d’arrangiamento. Questi monti neri che si stagliano nel bel mezzo di una facilità di ascolto faranno presto scuola, dal canto loro, e non proprio ai piani bassi del genere. Si voglia pensare anche soltanto alla cassa in quarti irresistibile dei granitici Marduk in “The Blond Beast” nel 2015 di “Frontschwein”, senza nemmeno la necessità di elencare esempi minormente noti. E tra le più semplici partiture batteristiche della “V”, un obelisco si alza, visibile solo da lontanissimo: si tratta del già sopraffino lavoro sui piatti che diventerà in tre inverni sinonimico al nome Mgła, quello che renderà Darkside -anche giustamente- uno dei batteristi più popolarmente apprezzati nella storia del Black Metal, fatto della stessa materia eclettica di cui sono fatti (volendo trovare un parallelo) gli sforzi di geni ritmici quali Trym Torson, Jan Axel Blomberg e Thomas Tannenberger.
E così, tra Cioran, Conrad, Hemingway ed Eliot, si passa in una rassegna musicale tinta di nero tutto il paradosso della nascita, di una vita spesa nello sforzo di non sapere quale sia lo sforzo più corretto da compiere, nella ribellione allo spreco di un Black Metal che si fa quindi infinitamente letterario senza sbandierarlo esplicitamente: un dialogo estremamente colto e dolorosamente profondo perché parla di ogni essere vivente piombato senza via d’uscita in quella grande paura di cui sono immagine specchiata i personaggi interiormente divisi, gli animi dissociati di una mente irripetibile come Karin Boye. È un Black Metal di fronte a cui non per caso ogni tentativo di storicizzazione, anche a distanza di una decade, si affloscia misero al suolo angosciato: perché sa che quella stessa storia che ha vissuto in prima persona è dal primo istante della sua nascita pronta a leccarsi un dito e voltare la pagina, a calpestarlo a morte con i suoi stivali chiodati griffati progresso, impietosi di tutta la gloria passata di forza e cultura ora rispettivamente nulla e vuoto. E di questo nichilismo travolgente fa bandiera.

Sebbene “With Hearts Toward None” innegabilmente presenti in retrospettiva una band ancora notevolmente più spigolosa nella scrittura rispetto ai veri miracoli di suono, fluidità e sopraffina maestosità compositiva di un “Age Of Excuse” o anche solo di “Exercises In Futility”, qui giacciono e sono piantate dunque le più profonde fondamenta di quel modo tutto Mgła, inconfondibile e forse idealmente inarrivabile, di costruire armonie di una sottigliezza schiacciante: layer su meticoloso ed opprimente layer musicale e lirico, restando paradossalmente semplici all’ascolto ancorché infinitamente grandi e veementi nel profondo. Questa tendenza divenuta nel secondo full-length di M. e Darkside più chiaramente esplicita, questo rigore e questa disciplina così palpabili nel modus operandi che li allontana da qualunque possibile clone, ma anche solo i monologhi campionati da una distanza inafferrabile e piena di una ruggine post-industriale e post-moderna, per non parlare dell’immagine anonima e proprio per questo motivo nel 2012 ancora più caratterizzante (tra le tante cose, è del resto il disco dell’inizio della marcia sui palchi per la band); tutto questo, nulla escluso a ben pensarci, avrebbe creato prestissimo un nuovo modo d’intendere il genere: visivamente, concettualmente e -insieme ad altri selezionati cantori del male nell’uomo del nuovo millennio (uno dei quali in particolare commilitone fin dallo split-album “Crushing The Holy Trinity” del 2005)- nondimeno musicalmente.
Tuttavia, malgrado questo di per sé sia un potenziale traguardo per cui file di musicisti egocentrici e senza talento ucciderebbero, nulla di tutto ciò può importare ad autori simili. Perché solo le locuste intoneranno canti di festa e vittoria collettiva al calar del sole, nonostante la pioggia cada senza fine dentro per lavare via qualunque cosa. Ma quell’uomo di cui, a differenza d’altri, davvero ci parlano i Mgła, lì resta, impietrito, in riga, e tuttavia non privato di una sua certa dignità ed eleganza imbevuta di una singolare, irrisoria ma diabolica speranza. Con le spalle ferite, con la schiena dritta, legato a questa terra eppure vivente tutta la sua vita nell’immane sforzo teso di camminare sulle ali del vento e del tempo. Ma che si ritrova a fare i conti con una caduta forse irreversibile, verso il basso e verso le più lontane coste del Nord – e con il cuore rivolto verso il nulla.

Matteo “Theo” Damiani

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